Deformazioni Gravitative Profonde di Versante (1/4)
Quanto riportato di seguito è il risultato delle ricerche intraprese presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università "La Sapienza" di Roma aventi come obiettivo, l'approfondimento delle conoscenze nei confronti dei parametri che maggiormente controllano l'nnesco e l'evoluzione di fenomeni quali le Deformazioni Gravitative Profonde di Versante.
INTRODUZIONE
Le D.G.P.V. costituiscono dal punto di vista fenomenologico, dei lenti processi deformativi che avvengono, in presenza di determinati livelli tensionali, essenzialmente per flusso visco-plastico. La loro evoluzione può essere caratterizzata da repentine accelerazioni, alle quali sono associabili le fasi di collasso di intere strutture geologiche con il coinvolgimento in episodi parossistici di tutto il sistema crinale, versante, piedimonte e fondovalle. Esempi relativi a questi fenomeni, ai quali i media hanno dato ampia risonanza per l' elevato costo in termini di vite umane, economici e di impatto sul territorio, sono la grande frana della Val Pola (Valtellina), la frana di Ancona o ancora l'evento che ha coinvolto la diga del Vajont presso il Monte Toc. Le D.G.P.V. possono in via generale essere inquadrate come dei fenomeni a scala intermedia tra quelli superficiali (franamenti s.l.) ed invece quelli propri della tettonica gravitativa; la differenziazione deve comunque essere fatta non solo su basi morfometriche ma anche fenomenologiche ed evolutive. Caratteristica riconosciuta da diversi autori relativa a questi fenomeni è il manifestarsi di "effetti di scala" (Goguel, 1978) ossia di processi che si è visto essere funzione dell'entità delle masse coinvolte. Questi vanno dalla vaporizzazione dell'umidità della roccia lungo piani di debolezza (Habib, 1975), al rock-creeping con tendenza evolutiva verso lo stato di rottura generalizzata, anche su versanti costituiti da rocce litiche (Finn et alii, 1970), alla fusione di minerali in rocce policristalline (Masch et alii, 1981), alla dissociazione del carbonato di calcio (Erismann, 1978, al rock blasting con blocchi lapidei eiettati alla base di pareti rocciose. Un elemento inizialmente assunto come discriminante per il tipo di deformazione (superficiale, profonda o tettonica) è stato il grado di influenza della morfologia del versante che risulta tanto minore quanto più ci si sposta nel campo delle deformazioni dovute agli stress tettonici. Più che la morfologia del versante, per le deformazioni profonde, assume un ruolo determinante l'energia di rilievo, tanto che alcuni autori determinano in prima approssimazione un'altezza critica, funzione delle caratteristiche meccaniche dei materiali costituenti ed indicano come fattore essenziale per il loro sviluppo lo "stress topografico". A tal proposito basti ricordare che i primi studi sulle D.G.P.V., hanno riguardato i versanti di valli glaciali interessate da processi di fusione rapida dei ghiacci che hanno portato al duplice effetto di generare dislivelli molto elevati e di determinare il detensionamento laterale dei versanti stessi. Un'altra condizione morfostrutturale favorevole al verificarsi di questo tipo di deformazioni è la sovrapposizione di rocce lapidee su litologie a comportamento plastico. Proprio questo assetto assume una rilevante importanza dal punto di vista applicativo poiché spesso centri urbanizzati sono collocati in prossimità di rocche e rupi rimaste isolate a causa dell'erosione selettiva nei confronti delle litologie circostanti più erodibili.
Riassumendo distingueremo:
a) fenomeni superficiali - movimenti di massa lungo un versante in cui è presente e macroscopicamente individuabile, indipendentemente dalla sua geometria, una superficie o una zona di rottura, che interrompe la continuità dell'ammasso separando le masse in posto da quelle mobilizzate
b) fenomeni profondi - movimenti di massa in cui la presenza di una eventuale superficie di scorrimento non è evidente e non è necessaria neanche la sua postulazione per giustificare le deformazioni osservate in superficie e/o in profondità; l'entità degli spostamenti è in tal caso generalmente piccola rispetto alle dimensioni del fenomeno almeno sino al raggiungimento della fase ultima di collasso
c) fenomeni tettonici o tettonico-gravitativi - movimenti generati dall'azione di forze endogene o sviluppatisi come risposta a sollevamenti, basculamenti o a stress sismici (Hutchinson, 1995).
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA E TIPOLOGIA
Un quadro generale della diffusione di questi fenomeni in Italia può essere desunto dallo schema A, in cui sono stati schematizzati per aree, diversi lavori riferiti a casi specifici.
La distribuzione dei fenomeni osservati, risulta alquanto disomogenea e ciò è probabilmente da relazionare sia al particolare assetto geologico del nostro paese che alla parzialità dei dati tuttora disponibili sulle D.G.P.V. dato il solo recente riconoscimento del fenomeno come tipologia a se stante. Attraverso una analisi di natura statistica è comunque stato possibile individuare delle aree differenziabili attraverso la distribuzione di alcuni fenomeni prevalenti. Così sono stati riconosciuti come prevalenti lungo l'intero arco alpino, fenomeni quali i rock-flows e i rock-block slides, coinvolgenti superfici medie di circa 30 Km2 prettamente in unità metamorfiche ed ignee a vario grado di alterazione ed i cui versanti sono geneticamente legati alla azione modellatrice dei ghiacci. Lungo la dorsale appenninica sono invece maggiormente diffusi i lateral spreads che spesso coinvolgono ammassi carbonatici poggianti su sedimenti argillosi ma che in alcuni casi sono correlabili alla presenza di depositi conglomeratici posti al tetto di sedimenti sabbioso-argillosi. Per l'area appenninica un ruolo importante è giocato anche dalla elevata sismicità che, nell'ambito dello studio delle D.G.P.V., può essere considerata come un fattore condizionante, relativamente al verificarsi di episodi parossistici. Casi particolari possono essere riscontrati nell'Appennino calabro dove sono evidenti numerosi fenomeni complessi di scorrimento in blocchi e colate, legati alla presenza di elevate energie di rilievo generate dal rapido approfondimento dei corsi d'acqua ed all'intenso stato di alterazione chimico-fisica delle rocce cristalline presenti. Nella mappa indicante la distribuzione di alcune delle D.G.P.V. studiate in Italia non si è tenuto conto di alcuni casi studiati nel passato e classificati come paleofrane; il termine paleofrana andando a contraddistinguere dei fenomeni avvenuti nel passato e che sono attualmente in una condizione di inattività potrebbe secondo alcuni autori indicare delle situazioni relitte di fenomeni gravitativi profondi e ciò nella constatazione che la permanenza della morfologia di un fenomeno è sempre legata alle dimensioni delle masse coinvolte.