Deformazioni Gravitative Profonde di Versante
LA FRANA DEL VAJONT
a cura di Paolo Schumeniak e Boni Thomas.
L'evento
Il 9 Ottobre 1963,alle ore 22:45, nella piccola valle della torre del Vajont, tra il Friuli e il Veneto, si verificò un'enorme frana, la più disastrosa che l'Italia ricordi. I morti furono 1.899, Longarone venne quasi del tutto distrutta e l'abitato del comune di Erto e Casso subì notevoli danni. La massa rocciosa, con un volume pari a quasi 250 milioni di metri cubi, scivolò dal versante settentrionale del Monte Toc, lungo un fronte di 1.800 metri e precipitò nel sottostante bacino artificiale dove provocò un enorme ondata, valutata in 25-30 milioni di metri cubi d'acqua. Questa, carica di frammenti rocciosi in sospensione, scavalcò la diga posta nella forra del Vajont e si abbatté nella sottostante valle del Piave distruggendo Longarone, posto proprio presso lo sbocco del torrente; l'energia sviluppata dalla frana in meno di un minuto e stata valutata equivalente a 172 milioni di Kwh, pari a 550 volte l'intera potenza elettrica installata in tutta Italia nell'anno precedente l'evento.
La diga, tuttora integra (pur non essendo stato mai più riempito il bacino), che prende il nome dal fiume che doveva alimentare lo stesso invaso (Vajont), fu costruita per mano dell'ingegnere Carlo Semenza che dopo studi geologici e geomorfologici della zona che avrebbe dovuto ospitare la diga, decise di costruire, la medesima nella parte sottostante il Monte Toc.
Il fatto che un enorme corpo franoso come quello descritto potesse crearsi, era noto gia al tempo, le incognite che ingannarono i tecnici furono invece le modalità e i tempi di scivolamento della frana. Da circa tre anni, infatti, il versante montuoso sovrastante al bacino idroelettrico, ancora in fase di collaudo, si trovava sotto controllo. Durante il marzo del 1960 erano già avvenuti alcuni movimenti franosi che in seguito si accentuarono, mentre lungo il versante si aprì una fessura che delimitò l'ampia area instabile destinata in seguito a precipitare. Questi fenomeni, unitamente alla presenza nella roccia di fratture parallele alla valle ed alle osservazioni effettuate su capisaldi ubicati nell'area instabile, fecero ritenere che una frana si sarebbe staccata, sì , dalla montagna, ma cadendo nel lago lentamente ed ad intervalli successivi. La conseguenza sarebbe stato il riempimento parziale della parte del bacino antistante la frana fino alla formazione di una contropendenza che avrebbe successivamente fermato la massa rocciosa ancora in equilibrio instabile. La preoccupazione maggiore, credendo che così si sviluppasse il fenomeno, fu quella di collegare i due settori del lago, una volta divisi dal corpo di frana, mediante un'apposita galleria.
Le cause
Le cause che provocarono il dissesto del Vajont furono molteplici: alla base stanno ovviamente, come cause preparatorie o predisponenti, la costituzione geologica e la morfologia del versante settentrionale del Monte Toc, "avente una certa predisposizione a franare". Quali cause immediate o determinanti, sono invece ritenute le precipitazioni piovose le operazioni di riempimento e svuotamento dell'invaso effettuate in sede di collaudo. Nei due mesi precedenti la frana, infatti, le piogge ebbero un intensità eccezionale, circa il triplo della media caduta, durante lo stesso periodo di tempo, nei precedenti vent'anni. Le conseguenze delle precipitazioni, hanno, in particolare provocato, l'appesantimento della falda rocciosa e l'imbibizione del suo letto unita ad un'azione lubrificante. Inoltre, un certo ruolo lo deve aver avuto l'acqua di infiltratazione attraverso le forme carsiche presenti nel tratto più elevato del Monte Toc. Con le operazioni di invaso e svaso, si veniva a determinare un'oscillazione del livello dell'acqua nelle fessure della roccia, con vari effetti, e in particolare col lavaggio e asportazione del materiale più minuto, con conseguente aumento della permeabilità e diminuzione della coesione. Oltre a ciò, va sottolineato "l'effetto di galleggiamento" esercitato dall'acqua, durante il riempimento del serbatoio (con conseguente innalzamento dei livelli di falda nei versanti adiacenti), sulla massa rocciosa del versante. E' comunque difficile dare il giusto valore a ognuna delle cause sopra riportate, le quali hanno provocato un fenomeno ritenuto dai tecnici e studiosi del tutto eccezionale, in quanto si sono verificati contemporaneamente tre eventi: diminuzione improvvisa di ogni resistenza alla base della massa rocciosa in dissesto, conversione di un movimento lentissimo in caduta precipitosa, conservazione della massa franata in un corpo unitario quasi integro.
LE ARGILLE: PROBLEMI E CONSEGUENZE.
Sicuramente una delle cause che portarono al crollo della massa franosa all'interno del bacino artificiale, fu la presenza di argille, che trovandosi tra il corpo franoso ed la massa franata, fecero da cuscinetto per la massa sovrastante. Le proprietà di queste argille furono studiate da numerosi laboratori in differenti paesi tra cui: University of Illinois, Urbana, Illinois, USA e naturalmente dal dipartimento di Scienza e Tecnica delle costruzioni presso il Politecnico di Milano. I risultati ottenuti da questi studi indicarono chiaramente le loro scarse qualità meccaniche. Furono presi numerosi campioni dopo il disastro e vennero studiate le principali qualità fisico-meccaniche dei suddetti campioni. Lo studio sulla granulometria fu completata dal Thurber Consultants; i risultati a cui si pervenne furono:
Questi provini contenevano in media il 51% di argilla, il 36% di limo, il 7% di sabbia e il 6%di ghiaia. Per un intervallo fra il 52-70 % i granuli erano inferiori a 2 micron.
Test di resistenza al taglio: Sui provini campionati in sito furono anche fatti dei test per stabilire la resistenza al taglio che questi materiali, formati per la maggior parte da argilla, davano. Furono effettuati due serie di test dalla Thurber Consultants su di un unico campione. Questi test furono fatti ad un livello di pressione pari a 103-6.200 kPa, e la parte superiore di scivolamento fu pre-tagliata. Lo spessore del provino era variabile tra i 7 e gli 11 mm, l'area di provino di 25.8 cm^2. Da questi studi e da altri effettuati in sito si riuscì ad individuare l'angolo di attrito che variava tra i 30 e i 40 gradi, che appunto era l'inclinazione che avevano gli strati e che si supponeva avesse anche il piano di faglia. Queste proprietà meccaniche delle argille, già di per se scarse, vanno ulteriormente valutate se consideriamo che esse erano sature.
Il fatto sorprendente è che queste argille non furono individuate ai tempi delle ricerche sul Vajont, durante gli studi di fattibilità, proprio perchè essendo situate nella faglia non furono scoperte come per altro non fu individuata la parte orizzontale del piano di faglia a causa della notevole profondità. C'è a tal riguardo da sottolineare la sufficienza con cui furono svolte le indagini geologiche e l'imperizia nel loro svolgimento.
IDROGEOLOGIA E CORRELAZIONE TRA IL LIVELLO DELL' INVASO E LE PRECIPITAZIONI .
La presenza di acqua all'interno del corpo franoso ed al di sotto di esso, sono da considerarsi tra le cause più importanti del crollo logicamente correlate con la presenza delle argille. Al di sopra della frana vi era la presenza di una significante area di terreno prevalentemente carsico che combinato, con terreno glaciale, rendeva sicuramente molto accessibile all'acqua il passaggio verso l'interno del versante, e quindi verso il piano di faglia. Questa evidenza suggerisce fortemente che vi fossero le condizioni necessarie alla trasmissione di acqua in alta pressione, il cui sviluppo era dovuto a infiltrazione provocata da precipitazioni, che in quel periodo furono molto abbondanti, e dallo scioglimento dei ghiacciai e della neve sulle montagne al di sopra. Quest'acqua potè quindi filtrare lungo la superficie del successivo scivolamento. Nel piezometro posto nelle vicinanze della superficie di scivolamento (probabilmente appena al di sotto), sono state riscontrate delle falde in pressione in corrispondenza dell'invaso. Queste misurazioni furono registrate precedentemente alla frana e prima che il movimento franoso potesse danneggiare il piezometro. La pressione d'acqua fluttuò sia con i cambiamenti del livello dell'invaso sia con quelli di precipitazione. E' chiaro che l'acqua potesse raggiungere il piano di faglia. Notevole importanza per ciò che riguarda il livello piezometrico all'interno della frana ed al di sotto della frana stessa, ha avuto il livello dell'invaso. Si era addirittura pensato di poter regolare il comportamento ed il movimento della frana tramite un continuo gioco di invasi e svasi, teoria che risultò, dagli eventi essere errata.
Al tempo della frana si credeva che, se gli altri fattori che governavano la stabilità del versante rimanevano costanti, allora era ragionevole pensare che simili gradi di movimento avrebbero dovuto essere riscontrati a simili livelli di invaso. L'osservazione empirica del Vajont sembrò anche all'epoca molto incostante ed infatti, si mostrò che i movimenti del corpo franoso seguivano un'altra legge. Infatti, i movimenti della frana nell'ottobre del 1960 erano di 3.5 cm/d quando il livello di invaso era di 650 m, ma ad uno stesso livello dell'invaso due anni dopo si ottennero velocità trascurabili rispetto alle prime. Altro fatto che pose in contraddizione la credenza dell'epoca fu che, nel novembre del 62, l'indice di movimento raggiunse i 1.2 cm/d ad un livello di invaso pari a 702 m, ed esso era più basso dell'indice di movimento registrato nel 60 a 650 m di livello di invaso. Visti questi dati, il dottor Leopold Muller asserì che i movimenti generalmente avessero una velocità maggiore solo se una porzione veniva bagnata per la prima volta, mentre i movimenti rimanevano sempre più piccoli dei precedenti se uno strato una volta bagnato venisse sommerso nuovamente. Questa teoria portò le autorità e i tecnici alla conclusione che aumentando gradatamente il livello dell'invaso si potesse raggiungere una stabilità della massa franante. Fu assunto che la massa avrebbe eventualmente raggiunto un certo equilibrio, o per lo meno avrebbe continuato a muoversi così poco da non creare seri problemi. Benchè il ragionamento portato avanti dal Muller e dai tecnici, circa la relazione tra livello dell'invaso e movimento franoso, fosse giusta, erano sicuramente sbagliate le ipotesi da cui tutti partivano cioè che tutti gli altri fattori che controllavano la stabilità del versante rimanessero costanti. Per la verità, la piovosità fu significativa e non rimase di certo costante. Da alcune osservazioni si vide, infatti che ci furono periodi di alta precipitazione precedenti a tutti i principali movimenti franosi. Anche dove c'erano differenti indici di movimento per gli stessi l ivelli di invaso, il piùalto indice di movimento è collegabile con il più elevato grado di piovosità. In questo modo, potrebbe sembrare da una valutazione delle registrazioni, che la piovosità è tanto importante quanto il livello dell'invaso nel determinare l'indice di movimento della frana. Queste osservazioni fanno risultare chiaramente che non bisognava solo occuparsi dei vari livelli di invaso e dei relativi problemi che essi comportavano, ma era di inevitabile importanza anche dover tener conto, con maggior peso, delle precipitazioni atmosferiche, e di tutti i problemi ad esse collegati. Era quindi indispensabile dover impostare il problema della stabilità tenendo conto sia del livello di invaso sia della presenza delle argille sia anche delle precipitazioni. Una volta capita l'importanza delle precipitazioni, sarebbe stato anche molto facile poter diminuire le conseguenze ad esse collegate. Infatti, tramite opere di drenaggio si sarebbe potuto limitare la presenza di acqua nel corpo franoso, diminuendone il peso al fine di rendere più stabile il tutto, ma anche si sarebbe potuto limitare la presenza di acqua nel piano di scivolamento, che come sappiamo era formato anche da argille, al fine di limitare l'opera di erosione portata avanti dall'acqua, e al fine di rendere più coesive e resistenti le stesse argille. In questo modo (cioè limitando la presenza d'acqua nella zona interessata) si sarebbe potuto dedicarsi pienamente agli effetti del livello di invaso ed alle teorie che legavano quest'ultimo all'indice di movimento.
ROTTURA DELL' EQUILIBRIO.
Cosa abbia causato il franamento proprio in quel momento e in quella situazione non è del tutto chiaro, infatti, non è possibile imputare a nessun fattore prevedibile il crollo in quel momento, visto che tutte le variabili che potevano agire sulla stabilita erano pressochè costanti. La causa del crollo in quel preciso momento è forse da imputare al cedimento degli ultimi vincoli di tipo roccioso (ponti di roccia) che, in precedenza costringevano la massa franante a movimenti lenti. Negli ultimi giorni, precedenti il crollo, si verificòun graduale aumento delle velocità, rimanendo però il movimento ancora dentro l'ordine di grandezza dei fenomeni verificatesi in precedenza e comunque nell'ambito dei movimenti relativamente lenti. Tale fatto, unito alla comparsa di crepe nella massa in movimento nella zona vicina alla diga, fu interpretato come indice di un possibile franamento parziale del fronte, di tipo simile, anche se di dimensioni eventualmente maggiori, a quelli avvenuti in pa ssato, e che erano a suo tempo considerati aspetto tipico del fenomeno in atto.
Si è portati a pensare che in tale periodo si andasse invece rapidamente producendo il fenomeno di indebolimento progressivo della struttura rocciosa al piede della frana e che venissero via via allentandosi quei legami, che avevano fino ad allora condizionato il corpo franoso a movimenti lenti. Questo processo, la cui durata per altro non è in alcun modo calcolabile, condusse alla fine ad una rottura brusca, che trasformò istantaneamente il regime di lenti spostamenti in un collasso repentino dell'intero ammasso roccioso, che assunse quindi aspetti ben diversi da quelli che in precedenza erano stati previsti. L'ipotesi appena citata trova conferma nella scarsa probabilità che la rottura dell'equilibrio abbia potuto dipendere da una subitanea alterazione in senso sfavorevole delle altre forze o da azioni operanti sulla frana. Un altro fatto del tutto imprevedibile fu l'altissima velocità sviluppatasi durante il moto e la formidabile c ompattezza conservata dalla zolla rocciosa nel corso di uno spostamento di alcune centinaia di metri, valicando senza scompaginarsi la profonda forra del Vajont. Ugualmente straordinario è il lungo tratto percorso strisciando in senso ascendente sulla riva opposta, quando la conformazione della valle sembrava semmai favorire l'arresto della massa in moto per urto contro la riva destra. L'ipotesi che sembra oggigiorno più prossima alla verità, individua nella presenza delle argille nel piano di faglia la causa primaria della velocità raggiunta (dell'ordine di qualche decina di chilometri l'ora). E' infatti pensabile che le argille miste ad pietrame formatosi dal distacco brusco, nel piano di faglia, abbiano funzionato da cuscinetto per la massa sovrastante. L'ipotesi che sembra invece spiegare l'ascensione del corpo franoso sulla sponda destra della valle e da imputare al fatto che le scaglie e i detriti prodotti dalla massa in movimento e dalle formazioni in posto, praticamente sminuzzate, siano state trascinate avanti ed abbiano subito riempito la gola del Vajont, costituendo cosi dentro la gola un potente materasso di materiale sciolto, altamente plastico per la presenza di acqua. Queste due ipotesi spiegherebbero anche come mai la massa scivolata abbia potuto attraversare la valle senza scompaginarsi, benchè fosse fortemente fratturata.
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